Musicpaper – Silvia Careddu l’Italiana del flauto. Traguardi, rivincite (e la felicità) – Intervista

La vita, la carriera, le scelte della flautista italiana più famosa nel mondo. Dalla vittoria al concorso di Ginevra alLa cruciale ma difficile esperienza di primo flauto Nei Wiener Philharmoniker, DAlL’Orchestre National de France alLa Musik Hochschule di Zurigo. Perché lei ha guardato avanti, aspettando “qualcosa di nuovo”.

a brillato a Flautissimo, il Festival che da molti anni riunisce al Teatro Palladium di Roma i migliori strumentisti del mondo. Lei, tra l’altro, ha scatenato l’entusiasmo del pubblico duettando con Emmanuel Pahud, primo flauto dei Berliner Philharmoniker. Silvia Careddu è la flautista italiana più famosa del mondo. La sua è una biografia professionale piena di soddisfazioni ma anche di momenti difficili.

Gli inizi di Silvia Careddu da Cagliari a Parigi a Ginevra

Come hai iniziato?

«Al Conservatorio di Cagliari, la mia città. Poi sono volata a Parigi, perché per il mio strumento la scuola francese ha la reputazione migliore nel mondo. Ho avuto la fortuna che il mio insegnante avesse studiato a Parigi e quindi mi ero appassionata a questa idea».

E poi?

«Una svolta decisiva è stata la vittoria al Concorso di Ginevra nel 2001. Da lì è cambiato tutto. Hanno cominciato a chiamarmi in giro per il mondo per suonare in festival importanti».

Quindi sei favorevole ai concorsi?

«Dipende da come si interpretano, ma ad ogni modo ti permettono di farti ascoltare; hanno un impatto importante, chi partecipa ottiene una grande visibilità. Offrono la possibilità di essere notato, nel bene e nel male. Per un musicista giovane un concorso rappresenta una buona occasione anche per studiare, mettersi alla prova con sé stessi. Prepararli è difficilissimo, occorre una grande costanza; non solo, sono utili anche perché rappresentano un momento di grande evoluzione musicale, comunque vada».

Silvia Careddu e i Wiener: orgoglio e delusione

Quando hai iniziato a suonare in orchestra?

«In maniera stabile nel 2004, a Berlino alla Konzerthausorchester. Ci sono rimasta dieci anni, fino al 2014. È stato un periodo bellissimo, durante il quale ho maturato grande esperienza nel repertorio tedesco e nel diverso approccio al fraseggio rispetto alla scuola francese».

Dalla Germania all’Austria e l’arrivo ai Wiener Philharmoniker.

«Dal 2015  ho suonato nei Wiener Symphoniker e nel 2016 ho vinto il concorso di primo flauto nei Wiener Philharmoniker».

Sei stata la prima  italiana a entrare in un complesso leggendario, fortemente connotato dalla prevalenza maschile tra i propri musicisti. La tua vittoria ha avuto una grande eco sulla stampa internazionale, ma ancora maggiore è stata la notizia che dopo un anno e mezzo di attività l’orchestra non ti ha confermato, dopo  una decisione molto travagliata. A distanza di qualche anno, come vivi quest’esperienza?

«Oggi la vedo molto positiva, anche se ovviamente quando è successo ho passato  periodo  molto difficile, come è facile immaginare. Far parte di un’orchestra storica di questo livello a ogni modo  è stata una vittoria e ha contribuito alla mia crescita personale e professionale. È stato un peccato non poter continuare, ma a distanza di anni ho capito che la vita offre tante altre occasioni».

Come hai trovato la forza di reagire?

«Attraverso una rete preziosa di colleghi e amici che mi sono stati vicini; mi hanno nutrito di forza per non intossicarmi e farmi male. Una voce, una mano tesa, una telefonata: tra le tante testimonianze di stima e di affetto non dimenticherò mai le telefonate di Daniel Barenboim e Bernard Haitink:  “guarda avanti, un giorno ci sarà di nuovo, qualcosa di giusto”».

Girare pagina a Parigi e Zurigo

Quando  hai capito di  aver girato pagina?

«In due occasioni. La prima, nel 2021, quando ho vinto il concorso di primo flauto all’Orchestre National de France, dove suono tuttora.  Per me è stata una rivincita e allo stesso tempo una vera e propria bomba di energia e felicità. Ripresentarmi a un concorso dopo l’esperienza viennese era stato molto pesante: quando ho vinto ho sentito finalmente i miei polmoni riprendere a funzionare del tutto».

La seconda?

«La cattedra alla Musik Hochschule di Zurigo, un’istituzione molto prestigiosa. Mi piace molto insegnare e passare ai più giovani quello che mi è stato regalato, mi piace farlo al cento per cento, dare ai miei studenti le ali che meritano, come i miei insegnanti hanno fatto con me. La didattica rappresenta una parte fondamentale della mia vita professionale. Ho insegnato dieci anni alla Hanns Eisler Hochschule e alla Accademia Barenboim-Said di Berlino, a Fiesole, a Londra e continuo a tenere masterclass in giro per il mondo».

Trovi spazio per altre dimensioni nel fare musica?

«Per fortuna l’orchestra mi lascia la possibilità di coltivare l’attività solistica e cameristica. Ho in programma anche progetti discografici, tra i quali quelli con i Musici di Roma e il repertorio con pianoforte. Poi sono un’appassionata viaggiatrice!».

Come vedi l’Italia musicale dall’estero?

«In modo molto positivo. Chiaramente, se confrontiamo le realtà musicali italiane con quelle tedesche, sono molto di meno in termini quantitativi, ma la qualità delle orchestre italiane è cresciuta enormemente negli ultimi due-tre decenni.  Ogni volta è un piacere ascoltare le orchestre italiane. Il livello è altissimo; molti strumentisti che erano  andati a perfezionarsi all’estero sono tornati e hanno alzato molto il tasso qualitativo delle orchestre. Oltretutto negli ultimi anni grandi direttori e solisti si esibiscono con regolarità in Italia, e anche questo conta». 

Cosa ammiri di più nei musicisti italiani rispetto ai colleghi d’oltralpe?

«Il fraseggio e la freschezza nel suonare: non ci sono paragoni!».

Luca Della Libera

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