Silvia Careddu, prima italiana nei Wiener Philharmoniker

Considerata tra le più talentuose flautiste del momento, Silvia Careddu, cagliaritana, protagonista giovedì sera del concerto inaugurale dell’Accademia Filarmonica Romana, rivela di essere arrivata allo strumento a fiato «per ripiego. Da bambina avevo scelto il pianoforte. Mamma mi disse che nella casa al mare alla Maddalena la tastiera non c’era e che se fossi diventata pianista non saremmo più potuti andare in vacanza nella nostra isola del cuore. E così è spuntato il flauto che entra in qualsiasi borsetta e che ha salvato le villeggiature della famiglia. E, considerato come sono andate le cose, sono sicura che la Maddalena mi ha portato fortuna».

LE POLEMICHE
Diploma a Cagliari, specializzazione a Parigi (Conservatoire de Musique et de Danse de Paris): in breve le si spalancano le porte di tutte le orchestre del mondo e delle accademie internazionali (Strasburgo, Berlino, Corea del Sud e ora anche alla Royal Academy di Londra) dove tiene corsi e masterclass. Prima donna italiana a essere ammessa nei Wiener Philharmoniker, Silvia, dopo poco più di un anno, non supera lo scrutinio dei colleghi che, nonostante il generale apprezzamento, non la ritennero all’altezza del prestigio della compagine. La sua uscita, nel gennaio 2019, scatenò un vespaio di polemiche: qualcuno parlò di invidie per la popolarità della flautista sarda, altri raccontarono (ma nulla è stato mai provato) che durante le riprese televisive dei concerti le telecamere indugiavano sul suo viso (splendido) accendendo gelosie e rivalità interne. Lei, che nel frattempo è stata nominata primo flauto dell’Orchestre National de France, ha avuto modo di elaborare «un’ingiustizia, un episodio poco chiaro, anche perché nessun direttore mi aveva mai contestata», augurandosi «che quello che è successo a me possa essere di aiuto ad altre colleghe. Ora ci sono molte più donne e si fa molta più attenzione a rispettare i talenti femminili. Le quote rosa hanno dato uno scossone anche alle orchestre».
Membro fondatore dell’Alban Berg Ensemble Wien, la musicista 45enne, sarà a Roma con il suo gruppo questa sera (ore21), al teatro Argentina, per l’inaugurazione della stagione della Filarmonica romana. «Porterò il pubblico nel fondo degli abissi in un mondo lontano dalla frenesia quotidiana».
A guidare il viaggio la voce di una balena, quella creata da George Crumb per il brano Vox Balenae: la platea verrà avvolta da un’illuminazione di un intenso blu, come richiesto dal compositore americano che invita anche agli interpreti a indossare una maschera nera sugli occhi per perdere l’espressività umana e calarsi in una natura, selvaggia, fantastica e grottesca, indifferente al destino dell’umanità. In programma per la serata anche Debussy (Petite Suite, Syrinx per flauto solo, Prélude à l’après-midi d’un faune) e Schönberg (Kammersymphonie n. 1 op. 9).

LE AVANGUARDIE
«Vox Balenae è un brano che segnò le avanguardie. Con soli tre strumenti si arriva a dei suoni molto profondi, silenzi e poi angoscia. Ed è importante che sia nei programmi delle istituzioni musicali», spiega Careddu, «la musica contemporanea dovrebbe avere la stessa considerazione dell’arte contemporanea che viene esposta nei musei. Va proposta e anche un po’ imposta. Anche perché stimola un ascolto meno passivo. E ha il diritto di essere suonata».
Di casa a Parigi, «e poi in giro per il mondo per i concerti», le vacanze oltre che alla Maddalena le trascorre «dove suono». Famiglia «no, non ho mai sentito un particolare istinto materno», considera il suo lavoro una «droga, perché suonare è una meraviglia anche quando sei sola in una stanza a studiare, senza gli applausi del pubblico. Più ti impegni, più impari e più cambi. Non si può restare sempre uguali».
Al lavoro in orchestra a Parigi alterna le tournée con il suo ensemble o altre formazioni da camera «perché il confronto con altri colleghi ti alimenta. Anche se qualche volta ti avvelena. Ma io vado dritta per la mia strada, i concorsi li supero dietro una tenda, ho avuto tante gratificazioni e non mi volto mai indietro a guardare quello che ho perso dicendo tanti no».

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